La madrina di via Tortona tra arte, moda e design: «Ci sono i brand, non esistono più gli stilisti e lo stile. Quando il mondo della moda ha iniziato a cambiare così l’ho acccantonata»
«Volevo essere felice»: s’intitola così il libro autobiografico firmato da Gisella Borioli, classe 1945, imprenditrice, giornalista, direttrice di importanti periodici di moda, protagonista della vita artistica e culturale milanese. Nel 1983, insieme con il marito Flavio Lucchini, fonda lo spazio Superstudio più nella zona di via Tortona, teatro di sfilate di moda, nonché prologo alla nascita del principale distretto del design cittadino, ogni anno protagonista del Fuorisalone. Nel 2014 le è stato conferito anche l’Ambrogino d’oro.
Gisella il suo libro è lo specchio di una società che è cambiata profondamente negli ultimi 50 anni…
«Sì ma è anche molto confidenziale. Svelo momenti intimi e personali con retroscena mai raccontanti. Come, per esempio, l’amore per mio marito Flavio Lucchini».
Che cosa rappresenta per lei Milano?
«È la mia città, io sono nata qui così come i miei genitori e i miei nonni. A me sembra che un po’ mi somigli: ero una ragazza povera, sfortunata, bruttina. La mia storia è iniziata così e poi piano piano sono cresciuta, sono sbocciata, ho imparato tanto e mi sono arricchita con le persone, anche perché ho avuto grandi maestri: a me piace la gente, ascoltare, imparare. Ecco ho visto fare lo stesso percorso a Milano, attraverso gli anni 60, poi i Settanta, a tratti tristi, gli Ottanta, più divertenti e smaglianti, la città si è arricchita, è cambiata, è diventata internazionale».
Come trova Milano adesso?
«Forse anche un po’ vecchia. È arrivato il momento di cambiare, di entrare in un nuovo mondo, in una nuova mentalità. Credo molto nel futuro, mi attira tantissimo: adesso c’è troppo caos, cattiveria, concorrenza, ma anche troppa diversità sociale. Penso che Milano debba continuare a crescere. Però migliorando…».
Il periodo più bello?
«Gli anni 80, li ho visti sbocciare: io ero molto giovane, piena di idee e la mia città mi rispondeva. È nata la moda, il design, la donna in carriera insieme con il femminismo che non era più quello tremendo, arrabbiato nei confronti dell’uomo, ma un femminismo che ti permetteva di avanzare come donna, di occupare posti importanti nella società».
Il suo mondo è quello della moda ma anche di polo del design …
«Mi sono concentrata sulla moda fino agli inizi degli anni 2000, poi secondo me ha iniziato a morire a causa soprattutto del fast fashion. Adesso, poi, non ci sono più neanche i creatori di moda ma solo i direttori marketing, mentre i direttori creativi cambiano in continuazione, come se fossero cappelli. Ci sono i brand, non esistono più gli stilisti e lo stile. Quando il mondo della moda ha iniziato a cambiare così, mi sono appassionata sempre più al design».
Grazie anche al Superstudio di zona Tortona…
«Nasce nel 1983 come hub dedicato alla moda e alla creatività, poi nel 2000, quando il design era ancora un fatto commerciale e non culturale come adesso, ho voluto dare spazio ai giovani designer, a chi non poteva andare in Fiera. Mi considero una creativa, nel senso che mi piace creare cose nuove, coprire vuoti, aiutare ogni genere di creatività: sono una creative helper!».
E l’arte?
«Mi ha introdotto mio marito, anche se a me è sempre piaciuta, soprattutto quella non convenzionale, diversa. Poi mio marito ci si è dedicato completamente negli ultimi 35 anni, come racconta Fla (Flavio Lucchini art museum), il suo museo che raccoglie mille opere (uno spazio espositivo gioiello di archeologia industriale fortemente voluto da Borioli per Lucchini nei sotterranei del Superstudio, 2mila mq divisi in 18 aree, ndr). Dentro c’è anche la storia della moda, fino ad arrivare ai burqa: l’abito femminile come specchio della società».
Da Fellini a Giorgio Armani ha incontrato tanti personaggi famosi, importanti: qualche aneddoto?
«A Parigi ho conosciuto l’artista Man Ray: era un vecchiettino mentre io avevo vent’anni. Si è interessato a me e mi ha tenuto nel suo atelier tutto il pomeriggio a spiegarmi l’arte, quella surrealista e contemporanea di allora. Un’esperienza pazzesca».
E poi?
«Yves Saint Laurent, l’ho incontrato in diverse occasioni. La prima, insieme con Flavio e il fotografo Oliviero Toscani perché ci aveva affidato l’immagine della sua collezione di moda Rive Gauche: gli chiedo come doveva essere la sua donna, come pettinare e truccare la modella. Lui mi guarda e mi dice: “Comme vous. Con i capelli lisci, il trucco leggero e la vostra aria naturale”. E pensare che io mi sentivo un mostro!».
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