Un adolescente su tre, ragazzo o ragazza indifferentemente, non sa riconoscere l’informazione scientifica da quella pseudoscientifica e non riesce a discernere le notizie affidabili dalle bufale, un dato che sottolinea la complessità del processo di valutazione dell’informazione e l’importanza dell’alfabetizzazione digitale. Altrettanto rilevante è essere in grado di autovalutare le proprie competenze di pensiero critico, tanto più che si conferma una disparità di genere nell’autostima, più bassa nelle studentesse femmine rispetto ai colleghi maschi. Sono questi i risultati del Report “Disinformazione a Scuola”, elaborato da un team di ricercatori di UniSR – Università Vita-Salute San Raffale, coordinato dal professor Carlo Martini, associato in Logica e filosofia della scienza presso la Facoltà di Filosofia dell’ateneo, con il supporto del progetto del Consiglio Europeo della Ricerca PERITIA (Policy, Expertise and Trust).
Alla luce dell’analisi dei dati, i ricercatori hanno dato il via ad una seconda fase del progetto di ricerca, con la nascita di un Osservatorio permanente sulla Disinformazione Digitale, che entrerà in funzione dal mese di gennaio del 2025 e che prevede percorsi di formazione per gli studenti e le studentesse delle scuole superiori. I risultati divulgati riguardano la prima fase dello studio, condotto da gennaio a maggio del 2023, con il coinvolgimento di 19 Istituti di Istruzione Secondaria Superiore – 11 in Piemonte, 7 in Lombardia e 1 in Emilia-Romagna – per un totale di 2.214 studenti e studentesse tra i 14 e i 19 anni (48% femmine, 39% maschi, con un 13% senza risposta sul genere) raggiunti. Lo scopo, quello di capire quanto gli adolescenti siano in grado di riconoscere l’informazione falsa o fuorviante – o anche semplicemente inaccurata -, distinguendola da quella attendibile e di qualità.
Il metodo d’indagine utilizzato, focalizzato sulla navigazione web tramite smartphone e social network, è stato quello di costruire un vero e proprio laboratorio sociale, un ambiente informativo simulato digitale, pensato per assomigliare quanto più fedelmente all’ambiente informativo che i giovani fruiscono nei loro telefonini. In questo ambiente, in cui informazioni scientifiche e disinformazione convivono e sono virtualmente indistinguibili, ragazzi e ragazze in età scolastica sono chiamati a valutare l’affidabilità dei contenuti che leggono. Il team di ricerca ha quindi misurato, tramite questionari, le capacità di pensiero critico degli studenti e delle studentesse e la possibilità di migliorare le capacità stesse tramite tre interventi, basati sul lavoro dei ricercatori della Stanford University e della University of Cambridge. Il progetto di “Civic On Line Reasoning” dell’università statunitense, in particolare, insegna le strategie migliori da adottare per controllare la provenienza delle fonti di informazione che troviamo nel web, grazie ad alcune tecniche, come il “lateral reading” – letteralmente “lettura laterale”, ossia, semplificando, l’apertura di nuove finestre nel browser, esaminando ad esempio il contenuto da un lato e la fonte dall’altro – e del “click restraint”, letteralmente “astensione dal click”, che consiste nel resistere alla tentazione di fare immediatamente click sui primi risultati di una query proveniente da un motore di ricerca, facendo invece una selezione ragionata dei risultati e cercando il contenuto più affidabile da approfondire per primo. I ricercatori hanno anche utilizzato, nel loro lavoro, l’idea dell’“Inoculation” del Cambridge Social Decision-Making Lab, secondo cui “così come ci si immunizza dai virus, si può prevenire la disinformazione” e, infine, il concetto di “Bias Cognitivi”, un approccio meta-cognitivo alla disinformazione, che parte da come funziona la nostra mente per spiegare i meccanismi che ci rendono più vulnerabili.
Smartphone: quanto e come lo usano gli adolescenti
La prima parte dello studio è stata dedicata al tempo di utilizzo dello smartphone, alla quantità di post condivisi ogni settimana e ai social più utilizzati dai giovani in età adolescenziale. Quanto al primo aspetto, poco indagato fino ad oggi, è emersa una coincidenza di dati tra le ore che i ragazzi e le ragazze pensano di passare, in media, sullo smartphone in un giorno – 5 ore e 6 minuti – e il tempo medio che effettivamente trascorrono quotidianamente con il telefono in mano, pari a 5 ore e 46 minuti, quasi un quarto delle ore in un giorno. Per capire le loro abitudini di condivisione, è stato chiesto agli studenti e alle studentesse di stimare quanti contenuti condividono in una settimana, mandando foto, meme e link ad amiche, amici e familiari: il 43% ha dichiarato di non condividere nessun contenuto; il 38% condivide meno di 10 contenuti a settimana, mentre solo il 10% più di 10, ma meno di 30, e appena il 4% condivide un numero di contenuti tra 30 e 50 o pari o superiore 50.
In queste percentuali, si registra una maggiore incidenza maschile: le studentesse tendono a condividere meno contenuti di quanto dichiarano i compagni maschi. Emerge, in definitiva, che tendono a condividere meno rispetto alla media nazionale, pari al 34%, oppure che sottostimano l’effettivo numero di contenuti condivisi o hanno una scarsa percezione dell’atto di condivisione, che comprende, ad esempio, anche il semplice invio tramite WhatsApp. A conferma delle statistiche fornite dalle stesse piattaforme, emerge che i social più utilizzati dai giovani sono Instagram (Femmine=88,84%, Maschi= 84,88%), Whatsapp (83,89% F, 82,17% M) e TikTok (79,12% F e 60,95% M). Si può osservare una conferma del sostanziale abbandono di Facebook, frequentato da circa il 2% della popolazione intervistata, e di X, il vecchio Twitter, sul quale postano messaggi solo l’8% dei ragazzi e delle ragazze. Alcuni social presentano significative differenze di genere nelle preferenze, come BeReal (Femmine=33.57%, Maschi=20.65%), TikTok (Femmine=79.12%, Maschi= 60.95%) e Telegram (Femmine=3.70%, Maschi=23.48%).
Capacità critica digitale degli adolescenti
Nella terza parte dello studio, è stato creato un ambiente digitale simulato, dove notizie divulgative scientificamente attendibili – ossia basate su studi autorevoli pubblicati in riviste peer-reviewed e validate dalla comunità scientifica – apparivano a fianco di notizie inaffidabili, pescate realmente dalla rete ma sostanzialmente prive di validità scientifica. È stato chiesto al campione d’indagine quali notizie, secondo loro, fossero scientifiche e quali, invece, pseudoscientifiche: delle bufale, come si suol dire, ossia testimonianze di persone o citazioni di documenti che presentano opinioni come supportate da ricerca rigorosa, ma che mascherano, invece, posizioni antiscientifiche o prive di fondamenti empirici, architettate appositamente per ingannare o indurre in dubbio l’audience.
I ragazzi e le ragazze adolescenti hanno dimostrato di avere in genere un livello di accuratezza discreto nello stabilire l’affidabilità di una notizia, con circa 2 persone su 3 in grado di discernere una notizia affidabile quando gliene viene presentata una e di capire quando invece si trovano di fronte a una notizia inaffidabile (F: 314 versus 157 e M: 249 versus 156). Tuttavia, non si può affatto sottovalutare il dato che circa 1 giovane su 3 fatica a riconoscere l’informazione scientifica come tale, a riprova dell’importanza di lavorare per sviluppare le capacità di ragionamento critico dei più giovani. Le differenze di genere non sono rilevanti, tranne l’unico caso di differenza statisticamente significativa di una notizia relativa alla pandemia da COVID-19 e all’utilizzo della mascherina, in cui più della metà degli studenti maschi non ha riconosciuto l’informazione come non accurata, correttamente individuata, invece, da oltre il 70% delle colleghe di genere femminile.
L’analisi ha toccato, infine, la cosiddetta confidence gap – evidenziata già da diversi studi indipendenti –, ossia la disparità di autostima tra uomini e donne nel valutare le proprie capacità e competenze (in questo caso) di alfabetizzazione informatica. Il report Disinformazione a Scuola conferma il trend, per cui il numero di studentesse e di studenti appartenenti a ciascun livello – da 0 a 5 – di autostima tende a crescere fino ad un livello elevato (4), per poi diminuire al livello massimo (livello 5), la differenza dei livelli di autostima, tra le studentesse (media=3.2) e gli studenti (media=3.6), cresce in modo statisticamente significativo se analizzata isolando i singoli post simulati: in 7 post su 16, il genere femminile ha riportato livelli più bassi rispetto al genere maschile.
“Il Report dell’Università Vita-Salute San Raffaele, ‘Disinformazione a Scuola’, fornisce la prima panoramica approfondita sulle competenze critiche digitali dei giovani e delle giovani e sulla percezione che gli stessi, e le stesse, hanno delle loro interazioni con l’informazione online, offrendo spunti preziosi per sviluppare strategie educative volte a promuovere una cittadinanza digitale informata e consapevole. Abbiamo reso il nostro studio il più ecologico possibile, come si dice nel gergo tecnico, creando un ambiente digitale simulato quanto più simile a quello in cui i ragazzi e le ragazze navigano nella loro vita quotidiana. Dato saliente è che circa un terzo di loro ritiene, sbagliando, inaffidabili le informazioni che invece sono affidabili, e questo avviene perché ci troviamo in un contesto informativo “inquinato” che, notoriamente, non soltanto promuove credenze false, ma confonde anche le acque dell’informazione affidabile. Si può creare, infatti, uno scetticismo generalizzato, che ci rende sempre più restii a fidarci della scienza, sulla quale si regge la nostra stessa società ormai altamente informatizzata e ingegnerizzata. Questo è un fenomeno preoccupante, che necessita di interventi urgenti. In questo senso, sollevare il problema della capacità critica digitale nelle persone adolescenti, che sono il nostro futuro, e fornire loro degli strumenti efficaci per metterli in grado di valutare in modo accurato le notizie, significa salvaguardare quella relazione di fiducia che è alla base dell’ormai inscindibile connubio tra scienza e società”, ha dichiarato il professor Carlo Martini, chiarendo la portata e le finalità ultime del progetto di ricerca di UniSR.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link