Pochi servizi, scarse infrastrutture, cittadini sempre più anziani: così spariscono i paesi
Una fuga silenziosa, di massa. Dai piccoli Comuni delle aree interne verso le zone più intensamente popolate e meno periferiche. Anche se esiste, seppur come dato ancora residuale, una «fuga» dalle grandi città verso i Comuni di cintura che offrono respiro dalla concitazione cittadina, aree verdi e, soprattutto, affitti più bassi rispetto a quelli drogati dal turismo nelle città d’arte. Certo, se parliamo di spopolamento, non si può prescindere dal calo demografico che trascina nello sprofondo alcune aree più di altre. L’istantanea delle micro migrazioni interne e, in ultima istanza, dello spopolamento di parti del territorio, è nitidissima a livello nazionale: nelle aree interne la crisi demografica pesa il doppio rispetto alla media nazionale, 5% in meno di residenti sul 2014, contro il 2,2% della media nazionale. E se ci si spinge nelle aree più periferiche in assoluto si arriva a un calo ancor più deciso: – 7,7% nel decennio. In Veneto non va meglio. L’Istat raggruppa gli enti locali in cinque categorie: i Comuni «polo» individuati in base alla presenza di servizi legati a istruzione, salute e mobilità; quelli di «cintura», «intermedi», «periferici» o «ultraperiferici» sono invece individuati in base ai tempi medi di percorrenza necessari per raggiungere i poli.
Il Veneto
La mappa del Veneto è quasi interamente «colorata» dai Comuni di «cintura» con una ventina di aree «polo», quindi ben servite, in corrispondenza dei Comuni capoluogo ma non solo. Ma ci sono propaggini venete che sono già classificate come periferiche e «ultra». La maggior parte sono nel Bellunese, nell’altopiano di Asiago, in Lessinia e in Polesine. Parliamo di territori in cui il combinato disposto di calo demografico verticale e fuga verso Comuni in cui si trovano banalmente gli istituti scolastici, in cui ci sia una rete di collegamenti del trasporto pubblico e da cui sia possibile accedere in tempi rapidi ai servizi sanitari fa calare inesorabilmente il numero di residenti anno dopo anno.
Anci e il tema fusioni
Il tema è ben presente per l’Anci che ha comunicato alla Regione, nell’ambito del Piano di riordino territoriale, le maggiori criticità sul fronte delle aree interne con una raccomandazione stringente: i piccoli Comuni sempre meno popolati devono andare verso la fusione con i Comuni vicini per poter sopravvivere garantendo un minimo di servizi e arginando, nei limiti del possibile, l’esodo. «Si sono così identificati 19 Comuni per i quali, in ragione del contesto demografico critico (spopolamento e invecchiamento) e basse performance dal punto di vista finanziario (elevati costi di gestione e bassa capacità fiscale), – spiega Carlo Rapicavoli, direttore Anci e Upi – potrebbe essere fortemente auspicabile il percorso della fusione. È stato valutato “critico” il contesto demografico dei Comuni che presentano una diminuzione della popolazione negli ultimi dieci anni e un indice di vecchiaia superiore alla media regionale».
I 19 Comuni «sorvegliati»
I «sorvegliati speciali» in Veneto sono 19: si va da Minerbe, nel Veronese, 4.534 abitanti (l’indice di vecchiaia è di 195,6 anziani ogni 100 giovani) a Zoppè di Cadore che di abitanti ne conta 191 (qui l’indice di vecchiaia è di 1.128,6). E il triste primato dello spopolamento nel decennio va proprio a Zoppè che ha perso quasi il 30% della sua popolazione. «Su questi 19 Comuni – prosegue Rapicavoli – si sono fatte altre valutazioni di gestione finanziaria, dalla spesa corrente alla capacità fiscale pro capite». Il risultato è una valutazione di criticità «alta», insomma, da allarme rosso. E a scorrere l’elenco salta agli occhi che il problema non è derubricabile soltanto alla montagna o al Polesine. Oltre ai molti bellunesi ci sono anche Vo’, Urbana, Boara Pisani nel Padovano, Teglio Veneto nel Veneto Orientale e così via.
La Marca (non più) felix
Anche al netto dei casi super critici, sono molte le aree insospettabili colpite dallo spopolamento. Il dato più eclatante è quello della provincia di Treviso che compare, seppur all’ultimo posto, nella classifica delle 25 province che si spopolano di più con un -8,7% per le aree interne. Pesa il calo demografico, «malattia» ormai endemica, ma anche l’emigrazione dei giovani trevigiani che sempre più spesso fanno la valigia per raccogliere i frutti del percorso educativo intrapreso all’estero o in altre regioni. Comunque sia, il risultato non cambia: ci sono aree che si spopolano inesorabilmente. A livello nazionale ci sono i fondi strutturali 2021-2027 che finanziano la Strategia nazionale per il rilancio delle aree interne (Snai). E per il Veneto i riflettori (e gli incentivi) sono puntati su 5 Comuni del Comelico, i 7 del Delta del Po, i 16 dell’Agordino, i 7 della Spettabile reggenza dell’Altopiano, nel Vicentino.
Sale il tasso di espatrii
Fra statistica e valutazioni schematiche si rischia di perdere di vista la concretezza del quotidiano per chi vive in aree ultraperiferica, in cui per raggiungere i servizi essenziali, su tutti un ospedale, il tempo medio di percorrenza supera i 65 minuti. Allora cosa succede? Che il tasso degli espatri per chi è nato in aree interne e periferiche è più alto della media nazionale: ormai si superano, secondo l’Istat, i 2,3 espatri ogni mille abitanti nel 2023, contro 1,8 a livello nazionale. In Veneto il tema si sente probabilmente ancor di più a causa dei vicini «autonomi» di Trento, Bolzano e Friuli, aree in cui il fenomeno è attutito e i servizi spesso invidiabili. A Belluno e dintorni si spera nella nuova legge sulla Montagna (all’esame del Parlamento) che stanzia circa un miliardo di euro in dieci anni per arginare lo spopolamento e migliorare i servizi dei Comuni montani. Ma l’Anci ha già annunciato: i fondi «non sono sufficienti».
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