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La cronistoria dell’Autonomia differenziata: da dove siamo partiti, dove siamo arrivati


Che la legge n.86 del 2024, meglio nota come ‘Spaccaitalia’, o Porcellum bis dal suo mentore Calderoli, non fosse ‘palesemente’ incostituzionale non era così pacifico. Però con qualche ragione la Consulta non l’ha dichiarata incostituzionale perché è una legge attuativa del disgraziato Titolo V della Costituzione. Forse ha pesato anche la necessità di non mettere in ulteriore difficoltà il Presidente della Repubblica che l’aveva promulgata in breve tempo. Nel merito le bocciature sono talmente demolitorie di tutta la legge che non solo dimostrano quanto approssimativa e ridicola fosse ma mi fanno sorgere il dubbio che sia il Titolo V che non sia normabile con una legge. Questo almeno per le finalità che si prefigge la Lega (Nord) e che sono in palese contrasto con il resto della Costituzione.

E qui, pur non essendo un costituzionalista ma semplicemente sapendo leggere scrivere e far di conto, la sentenza pare chiara quando afferma che la le intese tra lo Stato e la regione non possono trasferire intere materie, o ambiti di materie, ma solo specifiche funzioni legislative e amministrative, non solo, ma devono anche essere giustificate alla luce del principio di sussidiarietà.

Già questo, per noi umani, implica addio a sogni di gloria, come stabilire rappresentanza commerciali venete o lombarde a Pechino, Hong Kong e New York e addio anche alla Scuola Padana con insegnanti assunti direttamente dal MIT a stipendi da capogiro.

La sentenza boccia anche la sottrazione delle intese Stato Regioni al Parlamento, cosa che avevano provato a fare quasi di nascosto e furbescamente Gentiloni, Zaia, Boccia, Fontana, Gelmini, Bonaccini, Draghi, eccetera; boccia la sottrazione della materia LEP al parlamento e una loro definizione non uniforme su scala nazionale; il costo storico; l’architrave fiscale per cui le regioni più ricche possono trattenere gettito di imposte nazionali; e in più che la legge favoriva l’inefficienza premiando chi spende di più e peggio. Forse vale la pena semplificare per i più tonti che la torta è una e se qualcuno nel prende una fetta più grande agli altri ne tocca una più piccola, e questo non si può fare.

Insomma in altri termini, cari leghisti della prima e dell’ultima ora, se volete fare la secessione non la si può fare con questa Costituzione e con questa Costituzione non si può neanche fare una Repubblica Federale e tanto meno trasformare lo Stato Italiano in un informe paccottiglia di 20 staterelli. Come spesso ho avuto modo di scrivere la Porcellum Bis sarà anche una legge non palesemente incostituzionale ma è una legge palesemente ridicola e mi chiedo: ma come è stato possibile a produrre questa schifezza e che un intero Paese sia ostaggio del pratone di Pontida da 30 e più anni?

Le cause remote della Porcellum Bis

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Tra il 1989 e il 1991un gruppo di sfaccendati capitanati da Bossi e Maroni, insieme a Miglio, Pagliarini, Borghezio e una giovane promessa del firmamento leghista, tale Calderoli, girava per le taverne della Padania a rimestare nei più putridi sentimenti antimeridionali che covavano sotto la cenere di una parte degli abitanti della Lombardia e del Veneto che, per qualche motivo, mostravano risentimento nei confronti del Sud e dei meridionali. Forse retaggio della massiccia immigrazione degli anni ’60 e ’70 e di due mondi che sono venuti improvvisamente in contatto senza capirsi e senza avere gli strumenti per farlo. Alla base un malcontento generale verso una politica che appariva corrotta e inefficace anche se oggi quei fatti che determinarono la caduta della prima Repubblica sembrerebbero roba da educande.

Il culmine della crisi si ebbe nel lancio di monetine nei confronti di Bettino Craxi il 30 aprile 93 all’Hotel Raphael di Roma.

Sempre in quel periodo trasmissioni RAI come Profondo Nord, 1991 e 1992, e Milano Italia, dal 1992 al 1994, condotte da un giovanissimo Gad Lerner, visibili su Rai Play, davano voce al malessere del Nord che, chissà per quale arcano motivo, si riversava contro i meridionali colpevoli di mangiare pane a tradimento e di essere corrotti e mafiosi e ritenuti responsabili di tutti i mali del Paese. L’antimeridionalismo, anzi l’odio nei confronti dei meridionali dei proto-leghisti, usci così dalle taverne della Padania e entrò nelle case di tutti gli italiani.

Il Nord tra scandali e corruzione

Cosa c’entravano i meridionali? Me lo chiedo perché la vicenda Mani Pulite è una vicenda essenzialmente lombarda. Nasce con lo scandalo del milanesissimo Pio Albergo Trivulzio, detto la Baggina, il 17 febbraio 1992 quando il socialista Mario Chiesa ricopriva la carica di presidente. Come sono lombardo i maggiori scandali, in specie della sanità,  dell’ultimo trentennio e veneti gli altri.  Giusto per non dimenticare un piccolo florilegio:

1993: Duilio Poggiolini, presidente della Commissione per i farmaci dell’allora CEE e iscritto alla P2, finisce nella bufera milanese di Tangentopoli.

1994 – L’ex Ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, liberale, viene arrestato per una tangente da 600 milioni di lire pagata dalla Glaxo SmithKline

1995 – 2013: con Roberto Formigoni, governatore lombardo: l’affaire Giuseppe Poggi Longostrevi e Giancarlo Abelli; quello della Fondazione Maugeri e San Raffaele; la clinica degli orrori Santa Rita; Pierangelo Daccò e i fondi neri del San Raffaele; crack San Raffaele e infiltrazioni mafiose nella sanità lombarda

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2014: Cupola Frigerio – Greganti: tangenti e appalti per EXPO 2015

2016: Sistema Canegrati per appalti truccati settore odontoiatrico

2017: CTO Gaetano Pini dove Norberto Confalonieri (per gli amici “spaccaossa”) avrebbe rotto il femore ad una signora di 78 anni per poi rioperarla con una tecnica particolare per “allenarsi” per un intervento che avrebbe poi dovuto fare nei giorni successivi presso la Clinica San Camillo di Milano (privata)

2018: Scandalo bustarelle al Pini e al Galeazzo (eccellenze sanitarie lombarde)

2000 – 2004: Crack della Banca Padana voluta da Bossi, Lega Nord

2007: Mps acquistò dal Banco Santander la Antonveneta di Padova con un esborso di 9 miliardi di euro senza contare il debito di 7,5 miliardi con Abn Amro (Operazione autorizzata da Mario Draghi governatore dei Bankit)

Novembre – Giugno 2016: Crack Banche venete

2012: scandalo Tanzania. La Lega Nord investe i soldi dei rimborsi elettorali in iniziative che poco hanno a che fare con le finalità di un partito. Si scoprono spese folli della Famiglia Bossi. Frode da 49 milioni.

Dal 2011: Si tarocca la fattibilità della Pedemontana veneta che oggi perde decine di milioni

2011: Scandalo corruzione MOSE e arresto per il Governatore del Veneto Galan

Potrei continuare e tutto ciò lo dico senza compiacimento e consapevole che scandali ci sono stati anche al Sud ma quelli del Nord sono subito messi nel dimenticatoio, mentre ogni questione meridionale viene enfatizzata al massimo.

La lega delle origini e l’etnonazionalismo

Tornando alla lega delle origini sul pratone di Pontida a partire dal 1990 si celebrano i raduni celtico padani con tanto di giochi e matrimoni celebrati con rito celtico, tra cui quello di Calderoli, con tanto di preventive corna in testa, tiri alla fune, cazzotti in faccia, lancio di tronchi oltre agli insulti ai terroni come ‘ammazza un terrone risparmia un milione’ ‘Forza Etna’, poi il canale d’Africa, posto al confine tra Toscana ed Emilia,  con i coccodrilli che mangiavano i migranti terroni che cercavano di attraversarlo. Nel mentre si bruciavano nelle strade le bandiere italiane e nel maggio 1997 un tank, un trattore trasformato in una specie di carro armato, attraversa Piazza San Marco a Venezia proclamando la Repubblica Veneta. Tra il 1996 e il 1997 il dibattito pubblico prioritario era sulle proposte di Giancarlo Pagliarini di fare una moneta per il Sud e una per il Nord e Bossi proclamava la repubblica padana promuovendo un referendum per la sua indipendenza. Bossi spiegava che l’etnonazionalismo, pensiero della destra estrema, “deve costituire un attacco al centralismo dello Stato”.

La reazione della intellighenzia di sinistra e del Partito Democratico

Spero nessuno di voi in un salotto di intellettuali, o sedicenti tali, si sia mai azzardato di dire che forse i Borbone non erano quella dinastia origine di tutti i mali che la pubblicistica antimeridionale ci propina da 163 anni. Sareste stati accusati immediatamente con disprezzo di essere neoborbonici. Ora, preciso, che in questa accusa non c’è nulla di offensivo, tranne l’intenzione di chi così ti chiama.

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I Neo Borbonici non hanno mai: urlato ‘ammazza un polentone riprenditi un milione’; bruciato la bandiera italiana; fatto proclami secessionistici; prodotto scandali finanziari; rubato nulla né devono restituire 49 milioni. La loro grande colpa è dire che forse il Regno Duosiciliano era meglio di quello che si dipinge e nel farlo capita che esagerino, come quando definirono il carcere piemontese di Fenestrelle un lager nazista.

Apriti cielo! Un indignato e arcinoto medioevalista, Alessandro Barbero, si trasforma in risorgimentalista e scrive un poderoso volume per contestare le tesi neoborboniche con l’unico effetto di dimostrare, con maggiore efficacia dei neoborbonici, che se Fenestrelle non era un lager nazista ne era una buona imitazione. Non mi risulta che né lui, né altri intellettuali come Augias si siano mai peritati di esprimere tale indignato furore nei confronti della Lega Nord di Bossi e affini.

La Lega Nord infetta tutti i partiti

Il 26 gennaio del 2024 Berlusconi scende in campo e a marzo vince le elezioni. Rispetto ai temi posti dalla Lega secessionista e della incompatibilità con l’allora An-MSI di Gianfranco Fini bypassa il problema semplicemente ignorandolo e forma una cinica doppia alleanza: al Nord Forza Italia corre con la Lega Nord e il cartello elettorale si chiama ‘Polo delle libertà’, al Sud si presenta con Fini sotto le insegne del ‘Polo del buon governo ‘. Al solito Berlusconi pare poco attratto dai temi ideali e pensa solo a come, facendosi ‘concavo e convesso’ in funzione dell’interlocutore nazionalista con Fini e separatista con Bossi, può far prevalere i propri interessi. Nella alternanza Prodi Berlusconi che caratterizzò la politica di quegli anni ci fu un solo punto in comune: cancellare le infrastrutture al Sud, per problemi di finanza pubblica in funzione dell’ingresso in Europa, anche quelle già finanziate e autorizzate dal CIPE come la Lauria-Candela.

Il 22 dicembre del 1994 D’Alema stringe con Bossi il Patto delle sardine riconoscendo, a suo dire, il DNA popolare della lega dimenticando razzismo e etnonazionalismo e separatismo (e poi i populisti sono quelli del M5S!) e dando una patente di legittimità alla Lega di Bossi sacrificando tutto al fine tattico di far cadere il governo Berlusconi il 17 gennaio 1995 e alle successive elezioni del 1996 la Lega si presentò da sola e prese il nome di ‘Lega Nord per l’Indipendenza della Padania’. Nessun contrasto culturale alle idee della Lega Nord, ma anzi furono ammesse dalla sinistra nel novero dell’arco costituzionale questi razzisti e xenofobi, altro che Vannacci!

Con queste premesse, e pensando di attrarre l’elettorato romafobico padano, il 7 ottobre del 2001, promosso da un esausto governo di centrosinistra Amato – D’Alema, si tenne un referendum costituzionale di modifica del Titolo V che prevedeva la sostituzione di 7 articoli (114, 116, 117, 118, 119, 120, 127), la modifica di 2 articoli (123, 132) e l’abrogazione di 6 articoli o disposizioni (115, 124, 125 comma 1, 128, 129 e 130).

In sintesi si ridefinivano le materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva e/o concorrente dello Stato e delle Regioni. Inoltre si abolivano istituzioni come il Commissario del Governo, la facoltà per il Governo di sollevare, rispetto alle leggi regionali, questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Consulta, o questioni di merito dinanzi alle Camere, innescando in tal modo un controllo di tipo preventivo, restando soltanto un controllo di tipo successivo e per soli motivi di legittimità; aboliva il controllo di legittimità, da parte dello Stato, sugli atti amministrativi della regione (esercitato da un’apposita Commissione di controllo); aboliva il controllo, da parte della Regione, sugli atti delle Province e dei Comuni (esercitato dal CORECO).

Votò il 34% degli aventi diritto e fu approvato con il 64% dei voti scrutinati. In pratica fu approvata dal 21% degli aventi diritto. Meno di un quinto della popolazione italiana ha approvato una modifica così scellerata da influenzare negativamente tutto il Paese.

I referendum secessionisti e le premesse culturali

Nel 2010 Luca Ricolfi, scrive un libro che fa epoca  ‘Il sacco del Nord’. Ricolfi ha fama di essere un grande sociologo ma in questo libro sosteneva che “Il tenore di vita del cittadino del Nord vale 26.714 euro, quello del cittadino del Sud 30.138, circa il 13% in più. Conclusione il divario c’è ma a favore del Sud”. E giungeva a queste conclusioni perché valorizzava il tempo libero, maggiore al Sud per la maggiore disoccupazione, allo stesso modo per i disoccupati di Scampia e per i CEO delle Banche milanesi. Ovviamente la grancassa mediatica fu enorme, in specie sul Corriere della Sera che è sempre pronto a strombazzare ai quatto venti qualsiasi idiozia purché antimeridionale e quando lo dice il Corsera diventa subito dibattito mainstream e le opinioni sono sempre le stesse: sud assistito e fattori antropologici. Come la idiozia della schadenfreude tirata fuori da Polito nei tragici momenti del COVID e del crollo della sanità lombarda. La stessa gran cassa che accompagnò le uscite quotidiane della Fondazione Hume ,presieduta sempre dal prode Ricolfi, per la nascita del Conte I con il calcolo dei soldi persi dagli italiani a causa dell’aumento dello spread legato alla formazione del governo. Peccato che la stessa fondazione si sia dimenticata di fare la stessa analisi sul governo Draghi che ereditò dal Conte II uno spread medio di 100 per lasciarlo a più del doppio.

Per anni e con nomi diversi la questione della autonomia rimase sottotraccia fino alla svolta dei referendum consultivi di Lombardia e Veneto del 22 ottobre del 2017. Il referendum lombardo aveva come quesito:

“Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”

Il referendum, fatto sulla base dell’articolo 52 dello Statuto Regionale, non prevedeva quorum per la sua validità ed era stato deliberato dal Consiglio Regionale. Fu votato solo dal 36% degli elettori lombardi ma tanto bastò per ammantarlo da un appoggio popolare. Il referendum veneto aveva il vago quesito:

Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”

Il referendum fu fatto sulla base di un decreto emanato direttamente dal Presidente della Regione venetaLuca Zaia.

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La data fissata, concordata con la Lombardia, aveva, secondo Luca Zaia, un valore altamente simbolico della volontà separatista poiché ricadeva nell’anniversario del plebiscito di annessione del Veneto al Regno d’Italia potendosi così riaffermare la “genetica voglia di autodeterminazione del popolo veneto”. Il referendum fu approvato dal 57% dei cittadini.

Il fatto che entrambi i referendum ebbero origine da un impulso politico dei vertici regionali la dice lunga sulla necessità di questi vertici di trarre forza dalla volontà popolare, evidenziando che le spinte secessioniste e separatiste traevano forza dal popolo e non era un loro capriccio.

Ancora una volta la sinistra sdogana la secessione per blandire l’elettorato padano

Ai referendum seguirono dei preaccordi tra alcune regioni e il governo centrale. In particolare il 28 febbraio 2018 tra il Governo Gentiloni, ormai a fine mandato e un mese prima delle elezioni politiche, e le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto furono firmati gli accordi preliminari in merito all’Autonomia Differenziata sottraendoli a qualsiasi trasparenza e al controllo del parlamento. Ancora una volta si fa l’occhiolino al Nord.

Il 28 aprile 2022 il ministro pro tempore degli Affari Regionali, Mariastella Gelmini, anche qui con un governo ormai agli sgoccioli, presentò il DDL sulla autonomia differenziata che, come ricordò il Presidente Mario Draghi nel suo ultimo discorso al Senato, faceva parte dei programmi del suo governo. Ci risiamo. La secessione mascherata da autonomia fa capolino nell’agenda Draghi.

In pratica tutto l’arco parlamentare ha giocato superficialmente e colpevolmente su una materia di enorme delicatezza senza mai una battaglia prima di tutto culturale contro le idee e la propaganda leghista.

Anzi, non è mancato al processo autonomista il supporto del Partito Democratico che con Emanuele Felice ne spiegava le ragioni nel 2014 scrivendo un libro dal titolo ambizioso ‘Perché il Sud è rimasto indietro’ in cui si sosteneva la tesi delle origini antropologiche del divario e in sostanza scriveva che al Sud erano state date tutte le opportunità, ma ora il Nord era in ginocchio e il Sud doveva fare da solo.

D’altro canto nella commissione bicamerale per il federalismo fiscale presieduta da Giorgetti dal 2013 al 2018 sono proprio i parlamentari del PD a dare il maggiore aiuto al presidente Giorgetti, mentre i parlamentari del Sud di ogni partito latitavano. In particolare è istruttiva la lettura integrale della seduta del 30 aprile 2015 quando Giorgetti chiede la secretazione degli atti: “Sicuramente avrete nel vostro sistema la capacità di produrre questo tipo di dati, per cui vi pongo la seguente domanda. Se applicassimo non il 20 per cento, ma il 100 per cento della perequazione e non stabilizzassimo al 45,8 per cento, quale sarebbe l’effetto di una perequazione piena del sistema che abbiamo così faticosamente costruito? I dati probabilmente sarebbero scioccanti, magari ce li fate avere in modo riservato o facciamo una seduta segreta, come avviene in Commissione antimafia” e leggere gli interventi degli onorevoli PD è mortificante.

In quella seduta intervennero solo i deputati del PD tutti del Nord (Federico Fornaro, Magda Angela Zanone, Maria Cecilia Guerra e Roger de Menech) e non certo per scandalizzarsi, anzi per contribuire a definire l’ennesimo scippo del Sud.

La sorpresa del cambio di rotta del PD

Forse a far cambiare idea al PD c’è stata da un lato la sconfitta alle elezioni del 2022, specialmente al Sud, e dall’altro la sconfitta di Bonaccini, uno dei padri della autonomia in salsa democratica. Oppure, per pensare positivamente, a far cambiare idea è stata la mobilitazione di tutto quel mondo di sinistra, critico con il PD, dell’ex popolo viola come Marina Boscaino, che è stato l’anima del Movimento No AD, poi le iniziative di Massimo Villone e Anna Falcone, i libri di Marco Esposito, i libri di Viesti sulla Secessione dei ricchi, il disappunto di Gianola e altri pensatori meridionali. Anche i sindacati e quella parte dello zoccolo duro del PD che ha confuso la cultura assembleare con quella autonomista si è alla fine mobilitato. Ancora una volta però sembra più un riposizionamento tattico avendo fiutato il vento che una presa di posizione ideale e culturale.

Il risultato impensabile, e non altrimenti spiegabile senza la capacità organizzativa e di mobilitazione dei sindacati e del PD, della raccolta di oltre un milione e trecentomila firme, di cui solo 550.000 circa on line, ha spiazzato le istituzioni. Io, forte della esperienza di promotore con gli amici della Carta di Venosa di un referendum consultivo in Basilicata contro l’autonomia ne so ben qualcosa. Nel senso che finché in qualche modo non c’è stata la conversione del PD, e anche del M5S influenzato dalla componente meneghina, Buffagni in testa per esempio, che fino ad allora latitava abbiamo sentito una sostanziale indifferenza al tema.

Se avesse vinto la sinistra e Bonaccini statene certi che, nottetempo e con maggiore intelligenza politica e minore trasparenza, l’Autonomia si sarebbe compiuta, magari con singoli accordi fatti con il favore delle tenebre. Vedi Gentiloni e Boccia.

Alla Autonomia è mancato la copertura del PD e dei suoi collaterali e questa storia ha preso in contropiede anche il Presidente Mattarella che dopo alcuni interventi e ad alcuni richiami alla necessaria applicazione del Titolo V ha promulgato la legge 86-2024 (Porcellum bis) non ravvisando ‘palesi’ violazioni alla Costituzione. Vorrei anche vedere che li avesse ravvisati e poi approvata lo stesso e senza un rinvio alle camere o almeno delle notazioni o qualche sottolineatura sul fragile impianto della norma sotto il profilo costituzionale.

Preso in contropiede a tal punto da fargli dichiarare: “Il presidente promulga leggi, emana decreti e ha regole da rispettare. In quasi dieci anni mi è capitato più volte di dover adottare decisioni che non condividevo, ritenendo una legge sbagliata o inopportuna; tuttavia, era stata varata dal Parlamento e avevo il dovere di promulgarla. Solo in un caso posso non farlo: se rilevo evidenti incostituzionalità ma non basta un dubbio, sennò usurperei i compiti della Corte Costituzionale”.

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Una sorta di excusatio non petita, accusatio manifesta dimenticando le facoltà consentite dall’art. 74 della costituzione di rinvio alle camere di una legge. Dal 1996 ad oggi il rinvio alle camere, secondo il sito statistiche della Camera dei deputati, è stato fatto 12 volte. Tre volte da Scalfaro, sette da Ciampi, uno da Napolitano e una volta anche da Mattarella nel 2017. Inoltre in base all’articolo 87 della costituzione ‘Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere’. Facoltà utilizzata quattro volte da Scalfaro, otto da Ciampi e una da Napolitano.

Insomma è chiaro che l’atteggiamento di Mattarella nei confronti della Autonomia se non ha indicato un favor nei confronti della legge ha però evitato ogni sottolineatura negativa, che forse un Presidente con sensibilità diverse avrebbe potuto fare utilizzando gli strumenti costituzionali degli artt. 74 e 87 e che forse, agli esiti della sentenza della consulta, sarebbe stato opportuno fare. Non posso fare a meno di chiedermi cosa avrebbero fatto presidenti rigorosi e popolari come Sandro Pertini e Carlo Azeglio Ciampi. I presidenti della Repubblica non devono mai guardare alla cronaca ma alla eredità storica e morale che lasciano al Paese. Più che noi sarà la Storia a giudicarli.

Calderoli e Zaia possono sbraitare quanto gli pare ma questa ridicola tiritera che da 30 anni ammorba il Paese disunendolo e gettando tossine tra la popolazione è finita per sempre con la sentenza della Consulta. Se vogliono la secessione sappiano, e lo sappiano tutti, che si mettono in un percorso eversivo già troppo tollerato nella seconda Repubblica fino ad ora e che se vogliono salvare la faccia modificando la legge rispettando i paletti messi dalla Corte ben venga. Spieghino al loro elettorato però che salta tutto il ciarpame legato alla pretesa di trattenere tasse sul territorio, dei LEP basati sul costo storico o sulle ‘gabbie salariali’ o su LEP differenziali per regione. I diritti in una unica comunità politica non possono variare in funzione del territorio in cui si risiede: sembra banale ma ci sono voluti trenta anni per renderlo evidente e finalmente certificati da una sentenza della Consulta. Qualcuno spieghi a Sabino Cassese e alla intera commissione sui LEP che devono vergognarsi, in specie quelli che partecipano su più tavoli in palese conflitto e specialmente Cassese che ha portato l’intero Paese su una discussione così avvilente in cui il vero obiettivo era, se siamo buoni, fossilizzare il divario Nord Sud per sempre. Se siamo cattivi di ampliarlo.

Ma ‘al nemico che fugge ponti d’oro’ e quindi vista la pietra tombale messa su questa scelleratezza sarebbe utile evitare il referendum che non potrebbe ottenere risultati migliori di quelli ottenuti con la sentenza, ma reintrodurrebbe nel dibattito pubblico tutte le tossine della mai sopita polemica Nord Sud. Oppure, e sarebbe meglio, proponiamo un referendum per l’abrogazione integrale del Titolo V e delle Regioni. Visto quello che combinano al Sud e al Nord meglio abrogarle che ci guadagniamo tutti e lasciare solo le vituperate province.

Però ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato non sarebbe ora di riprendere in mano con serietà la questione dello Sviluppo del Sud?

Le Istituzione, i media, i portatori del pensiero unico politicamente corretto, tutto il mainstream della seconda Repubblica ed i suoi protagonisti senza eccezione fa ed ha fatto, diciamolo, schifo. In questa breve cronistoria della Autonomia differenziata abbiamo esaminato solo questo aspetto. Ma c’è ben altro. La vicenda di Berlusconi e della informazione, l’abbandono del pacifismo e delle relazioni diplomatiche come mezzo per risolvere i conflitti, il doppio standard per valutare Putin e Netanyahu, i tentativi di trasformare i governi in esecutori dei dettati delle super burocrazie europee, la perdita dei valori fondamentali dell’Occidente e della democrazia. Insomma uno schifo e 360 gradi. Poi non lamentiamoci che la gente non voti.



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