Negli ultimi anni Facebook, è stato al centro di polemiche e dibattiti riguardo al suo ruolo nella società. Da una parte, questa piattaforma viene presentata come uno strumento di libertà di espressione e di connessione tra le persone; dall’altra, però, si è assistito a una crescente censura dei contenuti, mascherata spesso da inadempimento delle policy interne o dalla famosa lotta contro le fake news.
La verità, però, è che dietro la facciata dei sistemi di “moderazione” di Facebook si cela un pericoloso strumento di filtraggio arbitrario, che mette a rischio la libertà d’espressione e l’equilibrio democratico a esclusivo vantaggio della narrativa atlantista che, guarda caso, esalta regimi come quello ucraino o israeliano negando la loro natura totalitaria e criminale in quanto alleati NATO (Israele) o strumenti (a pagamento) di guerre per procura della NATO, nel caso dell’Ucraina.
Il contesto italiano è particolarmente significativo in questo scenario. Secondo L’Indipendente, l’Italia è in cima alla classifica europea per quanto riguarda la censura su Facebook e Instagram, con una percentuale di rimozioni di contenuti superiore alla media degli altri Paesi.
La moderazione dei contenuti su Facebook Italia è affidata per contratto ad un noto giornale online. I “capi” hanno imposto una linea di moderazione estremista, ossessivamente orientata verso l’ideologia woke, il culto della Commissione Europea e i peggiori regimi che la NATO utilizza per destabilizzare e mantenere l’egemonia americana sul mondo.
Questo impegno fanatico ha permesso loro di soddisfare il finanziatore (META) e i suoi associati, tra cui la CIA e di raggiungere il triste primato di raggiungere la cima della classifica europea per quanto riguarda la censura su Facebook.
Questi “capi” hanno progressivamente assunto deliri di onnipotenza, sentendosi guardiani
della verità assoluta, unilaterale, autoreferenziale e non discutibile.
Il ruolo di moderatore Facebook in Italia non è solo una questione di politiche aziendali e convenienza finanziaria, ma riflette anche il clima politico e sociale italiano (dominato da due partiti borghesi di destra: uno al governo, FdI e uno all’opposizione, PD) in cui l’agenzia moderatrice sguazza felicemente trovandi terreno fertile per incentivare la rimozione di contenuti scomodi per la verità assoluta, diventando un pericolo per la Democrazia.
In particolare, governi (spesso stranieri), istituzioni e gruppi di pressione si avvalgono della collaborazione con Facebook per “ripulire” le voci dissidenti dal dibattito pubblico, mantenendo sotto controllo l’informazione che circola online.
Il giornalista inglese Alan MacLeod s’è accorto, esplorando LinkedIn, che Facebook ha assunto ex-agenti Cia e Fbi per il fact-checking dei contenuti che vi transitano, per esempio quelli sulla guerra in Ucraina e che “la maggior parte delle organizzazioni di fact-checking con cui Facebook collabora per monitorare e regolare le informazioni sull’Ucraina (sopprimendo ciò che viene giudicato fake news) sono finanziate direttamente dal governo Usa tramite le ambasciate Usa dei loro Paesi e il National Endowment for Democracy (Ned), che fu creato da Reagan come facciata per la Cia”.
La conferma indiretta delle indagini di MacLeod giunge nell’agosto 2023 quando, in una lettera inviata al Comitato giudiziario della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, il Ceo di Meta si è detto «rammaricato» per aver assecondato le richieste della Casa Bianca.
Facebook sceglie organizzazioni di fact-checking e giornali online orientati verso un pubblico giovanile ma in forti difficoltà economiche nonostante la loro diffusione che necessariamente è gratuita per avere il maggior numero di lettori.
Proponendo il contratto di monitoraggio a questi partner, Facebook li salva dal fallimento e li priva di qualsiasi autonomia.
L’alternativa all’interruzione della proficua collaborazione è la mancanza dei finanziamenti e il ritorno dello spettro della bancarotta.
I “capi”, spesso narcisisti ma di scarso spessore professionale, arruolano giovani, facilmente manipolabili anch’essi di scarso spessore, creando un clima redazionale di culto della personalità per evitare posizioni critiche e dubbi sul loro operato al servizio di aziende e agenzie di intelligence straniere.
Il filtraggio dei contenuti da parte dei gestori di Facebook è ormai una realtà quotidiana. Non si tratta solo di rimuovere contenuti esplicitamente violenti o illegali, come incitazioni all’odio o alla violenza. Infatti questi contenuti sembrano essere immuni dalla moderazione se a promuoverli sono i “good guys”, profili woke, filo ucraini o filo israeliani.
Sempre il giornalista MacLeod rivela che nel febbraio 2022
Facebook annunciò la modifica delle sue regole sull’incitamento all’odio per consentire l’elogio del battaglione neonazista Azov. In Italia, considerato dagli USA un Paese strategico per portare avanti i conflitti in Ucraina e Gaza (per via della presenza su suolo italiano di basi militari e logistiche USA e NATO), i profili che inneggiano ad Azov e al Slava Ukrainii così come i profili islsmofobi e pro Israele abbondano.
Al contrario post che, appartengono ai “Bad guys” (chiunque metta in discussione la narrazione ufficiale o promuove una narrazione più equilibrata e indipendente), pur non violando formalmente le linee guida, vengono limitati nella loro visibilità o eliminati senza una chiara spiegazione.
Secondo quanto riportato da Stampavaldostana.it, questo fenomeno di censura, che colpisce numerosi utenti e gruppi di Facebook, si traduce in Italia in un crescente controllo della narrazione online che sconfina apertamente nella violazione dei diritti costituzionali e collabora nel rafforzare la creazione di un clima politico autoritario e antidemocratico, con la scusa di mantenere un ambiente sicuro e rispettoso sulla piattaforma social.
La rimozione di contenuti che esprimono opinioni politiche o sociali scomode alla verità assoluta dimostra che dietro questa facciata si nasconde una volontà eversiva e antidemocratica di uniformare il pensiero e di sopprimere voci divergenti.
Una delle giustificazioni più comuni per la rimozione di contenuti è il richiamo all’inadempimento contrattuale da parte degli utenti. Facebook si rifugia spesso nei suoi contratti di servizio, che stabiliscono regole generali che gli utenti sono costretti ad accettare senza possibilità di intervento, indipendentemente se usufruiscono della piattaforma gratuita o a pagamento.
Le violazioni di queste politiche vengono, così, utilizzate come pretesto per la censura. Tuttavia, la realtà è che queste violazioni vengono applicate in modo arbitrario, con un evidente conflitto di interessi tra la necessità di garantire la libertà di parola e il dovere di manipolare il contenuto per rispondere a pressioni politiche o economiche esterne.
Un esempio lampante di questo meccanismo emerge dalle rivelazioni legate alle “Twitter Files” che, come riportato dal giornalista Nicola Porro, hanno svelato come le piattaforme social siano state coinvolte in pratiche di censura coordinate, sotto la spinta di interessi governativi nazionali o stranieri.
Un altro espediente per giustificare la censura su Facebook è la battaglia contro le fake news. Negli ultimi anni, Facebook ha intensificato il suo impegno per combattere la disinformazione, collaborando con agenzie di fact-checking per monitorare e rimuovere i contenuti considerati fuorvianti.
Tuttavia, come sottolineato da L’Indipendente, questa lotta contro le notizie false è diventata un campo di battaglia per il controllo delle opinioni pubbliche. Le notizie e le opinioni che si discostano dalla narrativa dominante vengono etichettate come “false” o “ingannevoli”, senza un’analisi adeguata del contenuto o senza una trasparente verifica delle fonti.
Il Integrity Institute ha verificato che su Facebook circolano più notizie false sui conflitti ucraino e israeliano-palestinese che su Twitter che, stranamente, non vengono censurate qualora rafforzino la propaganda dei regimi di Kiev e di Tel Aviv.
La rimozione di contenuti da parte di Facebook sotto il pretesto di combattere le fake news mina ulteriormente la libertà di espressione, dando potere ai gestori delle piattaforme di decidere arbitrariamente cosa sia vero o falso, senza alcuna possibilità di contraddittorio.
In Italia il gestore della moderazione di questo social ricopre anche il ruolo di agenzia di fact-checking che fa parte della rete occidentale degli oltre 80 fact-checker (teoricamente indipendenti), che monitorano le notizie false o fuorvianti diffuse in occidente, “fornendo un costante servizio di corretta informazione”.
Ironicamente negli ultimi tre anni questa agenzia / giornale online è diventata famosa per la sua propaganda Slava Ukrainii che ha assunto toni surreali e grotteschi. Mitica la notizia che i russi stavano combattendo armati solo di pale, addirittura dei modelli risalenti al 19simo secolo.
Nel giro di pochi giorni dall’inizio del conflitto ucraino questo giornale online ha pubblicato quattro notizie di fonti ucraine prive di prove documentali, rivelatesi delle colossali bufale. Dopo di che la diffusione della propaganda e fakenews di Kiev ha conosciuto una vera e propria escalation illimitata che in queste settimane sembra subire un rallentamento dovuto dall’incertezza dell’orientamento politico del finanziatore, Facebook, che negli USA sta abhondonando i Democratici per salire sul carro del vincitore Trump.
In realtà, il problema della censura su Facebook non è solo una questione di rimozione di contenuti, ma anche di manipolazione dei flussi informativi.
Come sostenuto da Professione Reporter, le piattaforme social, a partire da Facebook, non sono semplici veicoli per la pubblicazione di contenuti creati dagli utenti. Esse svolgono un ruolo attivo nel determinare quali contenuti vengono visti e condivisi attraverso i loro algoritmi, che decidono la visibilità di un post in base a parametri che spesso sfuggono alla comprensione del pubblico.
In molti casi, questi algoritmi privilegiano contenuti che generano più interazioni, amplificando la visibilità di notizie e opinioni che possono non rispecchiare la realtà dei fatti, ma solo la capacità di suscitare emozioni forti e polarizzanti.
In un contesto simile, Facebook e le agenzie che ricevono gli appalti, come nel caso dell’Italia, attuano una moderazione dei contenuti che assume un significato ben diverso. Non si tratta più di garantire uno spazio libero di espressione, ma di stabilire quali opinioni possano essere diffuse e quali no.
Questo non solo riduce la diversità delle opinioni espresse, ma crea anche un pericoloso precedente per la manipolazione della verità. Se i gestori delle piattaforme si pongono come “arbitri” della verità, chi deciderà quali verità siano ammissibili e quali no?
La crescente censura su Facebook, che in Italia assume livelli inquietanti che ricordano molti aspetti del Ventennio, solleva una domanda cruciale: quale futuro hanno la libertà di espressione e la democrazia nell’era digitale?
Il controllo arbitrario dei contenuti online non solo limita il diritto degli utenti di esprimere liberamente le proprie opinioni, ma mina anche la possibilità di un dibattito pubblico aperto e pluralista che è la principale caratteristica di una Democrazia Sana.
Quando i social media, che sono diventati i principali luoghi di discussione e informazione, vengono utilizzati come strumenti di controllo, rischiano di trasformarsi in meccanismi di manipolazione delle coscienze, privando le persone della possibilità di confrontarsi realmente.
La censura su Facebook è un fenomeno in crescita che non può più essere ignorato. Questa piattaforma social non è più solo un mezzo di comunicazione, ma ha assunto il ruolo di arbitro della verità, decidendo cosa è accettabile e cosa no.
La trasparenza nelle politiche di moderazione, la difesa della libertà di espressione e il rispetto per la pluralità delle opinioni devono diventare priorità fondamentali, per evitare che Facebook e le sue agenzie a cui affida gli appalti, diventino un pericoloso strumento di controllo delle masse.
Aurelio Tarquini
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link